Storia

Primi tra i Greci questi [gli Arcadi], traversando il Golfo Ionio si stabilirono in Italia, sotto la guida di Enotrio figlio di Licaone…17 generazioni prima della spedizione contro Troia.

Fu dunque questa l’epoca in cui i Greci inviarono la colonia in Italia. Enotro lasciò la Grecia non essendo soddisfatto dell’eredità paterna: avendo infatti Licaone 22 figli, era stato necessario dividere in altrettante parti la terra degli Arcadi.

Lasciato per questi motivi il Peloponneso e preparata una flotta, Enotro traversò lo Ionio, e insieme a lui anche Peucezio, uno dei suoi fratelli.

Li accompagnavano molti della loro stessa stirpe poiché si dice che anticamente gli Arcadi fossero un popolo assai numeroso e quanti tra gli altri Greci possedevano terra insufficiente alle loro necessità.

Peucezio, sbarcata la sua gente nel punto stesso del loro primo approdo in Italia, al di sopra del Capo Iapigio, vi si insediò, e da lui gli abitanti di quella regione furono chiamati Peuceti.

Enotro invece, con la maggior parte della spedizione giunse all’altro golfo…trovando molta terra adatta al pascolo, ma anche molta idonea per l’agricoltura, per lo più inoltre deserta o poco densamente abitata, dopo aver scacciato i barbari da alcune zone, fondò numerose piccole città sulle montagne, secondo quello che era l’abituale modello insediativo degli antichi.

E chiamò tutta la terra che aveva occupato, e che era assai estesa, Enotria, ed Enotri tutti coloro sui quali ebbe il governo[1].

Lo storico Dionigi di Alicarnasso, vissuto nel I secolo a.C., nella sua opera ‘Antichità Romane’ fu il primo a narrare la leggenda secondo la quale la parte meridionale dell’Italia, compreso il Bruzio, era stata chiamata Enotria da Enotro, condottiero degli Arcadi che, primi fra i Greci, si stanziarono nella penisola intorno al 1600 a.C. occupando la Basilicata, la Calabria settentrionale e le zone interne, e la bassa Campania.

E l’Enotria era ‘la terra del vino.

La storia mitica e antichissima della Calabria è legata a doppio filo con il vino e la viticoltura: infatti il nome Enotria deriva dal vocabolo greco ‘oinos’ cioè vino e sarebbe indicativo di un territorio ricco di vigneti; i Greci poi, allevavano la vite ad ALBERELLO o a palo corto che in greco si dice appunto ‘oinotron’.

Sempre secondo le fonti antiche, nelle epoche successive il re di Enotri, Ausoni e Siculi di nome Italo fondò il primo assetto etnico e politico della Calabria, trasformando gli Enotri, nella seconda metà del XIV secolo a.C., da nomadi in agricoltori.

Furono dunque i Greci ad introdurre in Calabria la cultura della vite facendo di questa terra già opulenta e prospera un vero e proprio scrigno di ricchezza.

Una straordinaria varietà ampelografica autoctona si estende da nord a sud della regione e ancora oggi la presenza di vitigni antichi attesta l’importante produzione di vino durante il corso dei secoli.

Anche la presenza di centinaia di pigiatoi per le uve scavati nella roccia, chiamati PALMENTI e ritrovati nell’area della Locride tra fra i comuni di Bruzzano, Ferruzzano, S. Agata del Bianco, Caraffa del Bianco, Casignana, Africo e Samo, evidenziano materialmente questa fiorente attività lungo un arco di tempo che va dal VII secolo a.C. fino al VI secolo d.C.

La viticoltura si sviluppò moltissimo nel periodo della colonizzazione della Magna Grecia ma ebbe il suo momento d’oro in epoca romana e i vini prodotti in Calabria erano conosciuti e rinomati in tutto l’impero.

Strabone, alla fine del I sec. a.C., cita un vino bruzio che si produceva a Thurii, attuale Sibari, unico per tutto il sud Italia[2]; Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia[3] dice che il vino di Thurii è inferiore ad altri vini meridionali ma che in Thurinis collibus (cioè sui monti alle spalle di Sibari che si potrebbero identificare con la zona di Castrovillari) c’era un altro tipo di uva che maturava in autunno inoltrato. Sempre Plinio cita i vini prodotti a Consentia (Cosenza) e a Temesa (località non ancora identificata) che si stavano affacciando nel I secolo d.C.

Il commercio e il trasporto del vino calabrese durante la romanizzazione è attestato dal ritrovamento di numerose ANFORE VINARIE esportate in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale. Il paesaggio agrario della regione all’epoca era caratterizzato da ville di tipo schiavistico nelle quali si trovavano i TORCHI destinati alla produzione.

A proposito di anfore, famosissima era la PIX BRUZIA calabrese che serviva a sigillare questi contenitori d’argilla, prodotta grazie alle resine degli alberi della Sila.

La Calabria del vino come altri territori vede nei molti secoli seguenti un alternarsi di storia e cultura.

E’ in epoca moderna che la regione trova la spinta giusta per decollare attraverso il fermento culturale e imprenditoriale del dopoguerra.

Dopo essere stata per anni fonte di approvvigionamento per il nord Italia, acquisisce consapevolezza di sé, della propria identità vitivinicola e del suo potenziale a livello commerciale.

La riforma agraria e gli incentivi regalano alla Calabria un nuovo assetto agricolo, spinta verso il ripristino di campi e terre incolti. E’ l’inizio della rinascita di questa terra, erede delle tradizioni dei popoli che l’hanno abitata e resa grande.

 

[1] I 11, 2-4; 12,1

[2] VI, 1,14

[3] XIV, 8, 89